Categoria : storia

Le armi delle torri di Paolo Amat di San Filippo

fotopaolocolore1All’arrivo del primo viceré sabaudo, il barone Filippo Guglielmo Pallavicino di Saint Remy, in Sardegna esistevano, nella Piazzaforte di Cagliari 88 cannoni, in quella di Alghero 45, e in quella di Castellaragonese (Castelsardo) 15. In ottemperanza alle clausole previste dei trattati di Utrecht del 1713 e di Londra del 1718 ne erano stati imbarcati per Barcellona ben 141, e non certo i peggiori.

A Cagliari c’erano: 2 Colubrine in bronzo da 13-14 libbre; 2 mezze Colubrine in bronzo da 10-12 libbre; 4 cannoni in bronzo, del primo tipo, da 36 libbre, 23 mezzi cannoni in bronzo da 13-19 libbre, 10 terzi cannoni in bronzo da 10-12 libbre, 11 quarti cannoni in bronzo da 9-10 libbre; 5 quarti Pedrieri in bronzo da 5-6 libbre; 15 Sagri, o quarti di Colubrina in bronzo da 4-6 libbre; 6 Falconetti, o ottavi di Colubrina in bronzo da 2 libbre; 4 Mortai da bomba (Posse) e 6 cannoni in ferro da 6 libbre. L'”anima” dei cannoni di bronzo era spesso molto consumata dall’azione abrasiva delle palle di ferro, per cui, quando era possibile, i cannoni vecchi di bronzo venivano rifusi per ottenerne nuovi, oppure venduti a rottame, e sostituiti con quelli di ferro.

Ai fini di questa chiacchierata, e in linea con la mostra ospitata in questo complesso edilizio, mi limiterò a dire qualcosa sull’armamento delle torri costiere che, ad eccezione di un breve periodo, non dipese per amministrazione, uomini, e mezzi, dal Corpo Reale dell’Artiglieria.

La Reale Amministrazione delle Torri, finanziata col “dret del real”(tassa di un reale sull’esportazione di formaggio, animali da carne e pelli), dotò le torri appena costruite, probabilmente con le bocche da fuoco tra le più disparate. Nei documenti relativi, infatti, sono menzionati “Trabucos a pedernal”, “Pedreñals”, “Sacres”, “Esmerils”, “Falconetes”, “Culebrinas” e “Vizcaynos”.

Il tipo e le caratteristiche delle armi in dotazione alle Torri, possono desumersi, particolarmente per il periodo sabaudo, dalle relazioni effettuate periodicamente, su precise disposizioni della Reale Amministrazione delle Torri, dai Capitani, Tenenti e Luogotenenti della stessa, relazioni che si trovano presso l’Archivio di Stato di Cagliari e di Torino.

Originariamente, come si è visto, i differenti tipi di cannoni erano contraddistinti da nomi di animali, così c’era il Falconetto, il Falcone, lo Smeriglio, la mezza Colubrina o Girifalco, la Colubrina, il Sagro, il Basilisco, il Passavolante; successivamente si usarono, come si è visto i termini di: cannone del primo genere, mezzo, terzo, e quarto cannone, mezza colubrina, quarto e ottavo di colubrina.

Gli affusti, in legno ferrato, erano del tipo da marina a quattro ruote, due delle quali, le anteriori, potevano essere anche di diametro maggiore delle posteriori (Fig 1)

Figura 1 – Cannone montato su affusto da marina

Nei documenti l’affusto era denominato, a seconda del periodo, in catalano o castigliano “Caixa, o Caja navalesa o navarresa”, in savoiardo “Affus”. I calibri, espressi come il peso della palla in libbre, erano da 32, da 26, da 16, da 8, da 6, da 4, da 2, e da 1 libbra. I più diffusi, però nelle torri erano quelli da 8, da 6 da 4, e da 2 libbre.

Talvolta il cannone, a seguito dell’usura o della corrosione, era “sventato” (era definito “vento”, la differenza tra il diametro dell’anima della bocca da fuoco e quello della palla). Per riutilizzare un cannone “sventato”, si poteva alesarne l’anima, sempre che lo spessore restante del metallo ne garantisse la sicurezza, rettificandola al calibro superiore. I cannoni ricalibrati però erano considerati pericolosi per la maggior possibilità d’esplodere. La presenza dei calibri dispari (da 7, da 5, e da 3 libbre) potrebbe spiegarsi come conseguenza di una qualche ricalibratura.

Poiché negli anni 1717-1720 il prezzo del bronzo da cannoni spuntava, nella piazza di Genova, 110 lire la cantara (circa 40 kg.), e la rifusione di un cannone veniva a costare 150 lire la cantara, stante il fatto che il peso di un cannone medio si aggirava tra le 20 e le 40 cantara, la fusione di un cannone del peso di circa 9 quintali a partire da bronzo di recupero, sarebbe costata all’incirca 6.000 lire.

I cannoni di ferro costavano meno e duravano di più. Circa il peso dei cannoni di bronzo, uno del calibro di 6 libbre e mezza pesava circa 500 kg; uno da 11 libbre circa 900 kg; mentre uno da 3 libbre pesava circa 400 kg.

Nel periodo sabaudo, i cannoni erano quasi tutti in ferro. Essi erano stati acquisiti come preda bellica oppure erano acquistati dalle navi svedesi che approdavano a Cagliari per comprare salmarino, pagandoli con questa merce.

Le bocche da fuoco da acquistare erano sottoposte ad un’accurata verifica delle caratteristiche e dello stato di conservazione; nonostante che il ferro svedese, sempre d’ottima qualità, fosse rinomato e pertanto ricercato non solo per i cannoni, ma anche per barre e profilati d’ogni genere.

Le dimensioni, i calibri, e di conseguenza il peso, dei cannoni di ferro destinati alle torri erano, per vari motivi, alquanto ridotti, infatti oltre alla difficoltà di portare sulla piazza d’armi un cannone molto lungo e pesante, come si può rilevare dalle figure 2 e 3, non si poteva caricare molto la volta della torre, e le dimensioni del pezzo dovevano permettere la sua messa in postazione, da parte di poche persone e in uno spazio relativamente ristretto.

cannone

Figura 2 – Operazioni di sollevamento di un cannone su una torre

figura 3 – Operazioni di sollevamento di un cannone su una torre

Le palle, di solito piene, ma anche quelle incatenate e quelle chiamate “angeli” (figura 4), se non recuperate come preda bellica, erano acquistate a Milano e a Napoli.

Figura 4 – Angeli e palle incatenate di vario tipo

La polvere, del tipo denominato, dai rapporti ponderali tra i componenti: “Cinque-

Asso-Asso”, prima dell’istituzione della Regia Fabbrica delle Polveri di Cagliari, era acquistata a Genova o a Napoli, e da tutte le navi straniere che approdavano nei porti dell’Isola. La polvere da cannone aveva una granulometria maggiore di quella da spingarda e da fucile. La figura 5 riporta le fasi di caricamento di un cannone da marina, e gli attrezzi per il caricamento.

Figura 5 – Fasi dell’operazione di caricamento di un cannone da marina

Con il cannone da 32 libbre, una carica di 10 libbre e 8 once di polvere, più 3 once per l’innesco del focone, assicurava una gittata media di 180 trabucchi (pari a circa 567 metri, corrispondendo il trabucco a 3,148 metri), ed una massima di 1200 (circa 3778 metri). Con uno da 26 libbre, una carica di 8 libbre e 8 once più 3 once per l’innesco del focone, assicurava una gittata media di 160 trabucchi (circa 504 metri), ed una massima di 1100 (circa 3463 metri). Con uno da 16 libbre, una carica di 5 libbre e 4 once di polvere più 2 once per l’innesco del focone, assicurava una gittata media di 160 trabucchi (circa 504 metri), ed una massima di 1050 trabucchi (circa 3305 metri). Con un cannone da 8 libbre, una carica di 4 libbre assicurava una gittata media di 160 trabucchi (circa 504 metri), ed una massima di 1000 (circa 3148 metri). Con uno da 6 libbre, una carica di 3 libbre di polvere assicurava una gittata media di 130 trabucchi (circa 409 metri), ed una massima di 900 (circa 2833 metri). Con uno da 4 libbre, una carica di 2 libbre di polvere assicurava una gittata media di 130 trabucchi (circa 504 metri) ed una massima di 900 (2833 metri). Pari gittata aveva un cannone da una libbra caricato con una libbra di polvere, mentre con un Falconetto da 6 once, caricato con 3 once di polvere, si otteneva una gittata media di circa 500 metri, ed una massima di circa 2204 metri. Pari gittata aveva anche la spingarda da 2 once, di solito montata su cavalletto, caricata con un’oncia di polvere “fina”.

Queste gittate erano date da una polvere buona; quella in dotazione delle torri, di solito alquanto scadente, forniva gittate ben inferiori.

La ragione principale era che questa, stoccata nella rispettiva santabarbara, spesso non adeguata, a contatto con l’umidità marina, e talvolta persino esposta ad infiltrazioni d’acqua piovana, specie se formulata con salnitro di bassa raffinazione (di seconda cotta), contenente ancora una certa quantità di nitrato sodico deliquescente, perdeva in breve tempo le sue caratteristiche piriche.

Altra riduzione della gittata si aveva quando, per effetto della corrosione sia termica che chimica del ferro, il focone del cannone si era allargato eccessivamente, per cui il pezzo veniva definito “sfoconato”. In queste condizioni, durante lo sparo, attraverso il focone, si verificava una violenta fuoriuscita di parte dei gas di sparo con conseguente riduzione della energia impressa alla palla.

Allo “sfoconamento” di una bocca da fuoco si poteva porre rimedio alesando e filettando, con opportuni strumenti, il foro e riinserendovi un cilindretto o un tronco di cono, di ferro o di bronzo, filettato e forato, denominato “grano” che ripristinava così il focone originario.

Meno rimediabile era il caso di un cannone “camerato”. Per effetto dell’abrasione meccanica della palla o della corrosione chimica del ferro da parte dei composti formatisi nella combustione della polvere, nell’anima si formavano cavità irregolari, attraverso le quali poteva sfiatare parte dei gas di sparo, con risultato peggiore della “sfoconatura”.

Un pezzo “camerato”, quando la “cameratura” era estesa a buona parte dell’anima, era definito “sventato”. La verifica della “cameratura” veniva fatta con uno speciale specchietto (gatto) collegato in cima a un’asta che, infilato nell’anima del pezzo, con una opportuna illuminazione, permetteva di verificare le irregolarità dell’anima. La verifica del “vento”, invece, era fatta con una specie di calibro a croce che, ruotato dentro il cannone indicava i punti dell’anima dove il diametro nominale era variato.

Spesso capitava che in una torre vi fossero palle di calibro inferiore a quello dei cannoni in dotazione, per cui, si doveva ovviare a questo inconveniente avviluppando la palla in stracci, mentre nelle fortificazioni di Cagliari, particolarmente con i mortai di grosso calibro che sparavano palle di pietra, queste venivano ricoperte con strati di lastra di piombo fino ad raggiungere il calibro richiesto.

I cannoni e le spingarde venivano sparati, sia direttamente con una miccia tenuta dal “buttafuoco” (figura 6), oppure con un acciarino a pietra focaia come nei fucili (figura 7).

Figura 6 – Differenti tipi di buttafuoco

Figura 7 – Acciarino a pietra, per lo sparo dei cannoni

L’alzo dei cannoni delle torri, come sulle navi, era realizzato inserendo, sotto la culatta, dei cunei di legno (cugni o cunei di mira) con diverso angolo; questo sistema era empirico ed approssimato, e la precisione del tiro era affidata solo all’occhio e all’esperienza dell’artigliere. La figura 8 mostra appunto un cuneo di mira posizionato sotto la culatta.

Figura 8 – Cuneo di mira posto sotto la culatta di un cannone

Sotto le ruote del cannone, a protezione del pavimento della “Piazza d’Armi”, venivano poste delle robuste tavole (madrieri), e dopo lo sparo i cannoni venivano rimessi in batteria con l’uso di leve (manuelle o manovelle). La polvere era inserita nella canna con una cucchiaia di rame, del diametro corrispondente al calibro, collegata ad un lungo manico, oppure veniva inserita confezionata in cartocci, (cartuchos o cartatocci) preparati con fogli di carta “Reale”, modellati su cilindri di legno del diametro corrispondente al calibro (cilindri per cartatochi), e incollati con pastella di farina di frumento. Il cartoccio della polvere e la palla, eventualmente separati da stoppacci (foraggi), con funzione di borra, venivano calcati nella camera di scoppio con un apposito calcatoio a testa piatta dotato di un lungo manico (atacador, battipalla, bottone).

Una volta caricato il cannone, con un lungo ago di ferro o di bronzo (aguglie, agucce, per ammorzare), attraverso il focone si perforava il cartoccio della polvere, e con una fiaschetta da polvere (polverino) si riempiva, di polvere da sparo fine, la cavità del focone. Si dava fuoco alla polvere del focone con una miccia (mecha) inserita nel “botafogo, buttafuoco” astato (figura 7), oppure con un acciarino del tipo di quello riportato nella figura 5. Dopo lo sparo la camera di scoppio veniva ripulita, dai residui della combustione, con uno spazzolone ottenuto con una pelle di pecora arrotolata (lanata). Per scaricare il cannone si faceva uso di una specie di cavatappi astato (sacatrapo, cavaburra, cavaborra, tiraforaggi): Nelle migliori situazioni in ciascuna torre ogni bocca da fuoco aveva la cucchiaia, il “battipalla”, il “cavaborra”, e gli eventuali cilindri per confezionare i cartocci della polvere, del rispettivo calibro, mentre per i fucili “d’ordinanza” l’elemento “cavaborra” veniva, all’occorrenza, avvitato sulla stecca del fucile.

Figura 9 – Fucili d’ordinanza a pietra

Ciascun torriere era dotato di picca (esponton, chuso), di fucile “d’ordinanza” (figura 9) con relativa baionetta, e della rispettiva dotazione di palle di piombo. In qualche caso le cartucce da fucile erano fornite già confezionate. Se nella torre vi fosse stato qualche archibugio alla sarda (Cannetta, Cannettedda) (figura 10), cosa piuttosto rara, il relativo munizionamento veniva fornito espressamente.

Figura 10 – Cannette

Per smontare e rimontare i cannoni sugli affusti veniva utilizzato un paranco, (ghindazzo).

Oltre alle palle di cannone dei rispettivi calibri, talune torri erano ancora dotate di “angeli”, di palle incatenate, di “lanterne” (contenitori cilindrici in lamiera contenenti “metraglia”), e di alcune dozzine di ordigni incendiari, le cosidette “buocie, boccie, fiaschi di fuoco”.

Nella torre, oltre alla dotazione di polvere e palle per i cannoni e per i fucili e le spingarde, vi era anche tutto ciò che sarebbe potuto servire all’occorrenza: una scure, una trivella, un’ascia da carpentiere, una roncola, una zappa, corda catramata e non, uno spiedo, una caldaia di rame con relativo treppiede, una bilancia a stadera, un paio di ceppi con relativo lucchetto, alcune giare di terracotta e botticelle per l’acqua, un megafono, una tromba marina, alcuni grossi murici adattati a tromba e, anche se raramente, un cannocchiale con il tubo di cartone.

Commenti

  1. Articolo molto bello, chiaro ed interessante; ci sono arrivato per caso, ricercando notizie sulla così detta “palla incatenata”, in uso nelle artiglierie navali e costiere. Cercavo in particolare delle illustrazioni di codesto ordigo, così da poter mettere a confronto un esemplare di proiettile sferico dotato di anello, in mio possesso e sapcciato dal venditore come “palla incatenata”. Purtroppo le illustrazioni non sono tutte riportate, in particolare, la n. 4 che dovrebbe riportare una tale palla non esiste proprio. Rimango col dubbio, in compenso ho letto un gran bell’articolo.
    Ringrazio e saluto
    Giorgio Dell’Era

    Giorgio
    Gennaio 31st, 2011
  2. La colpa non è dell’autore ma dell’accontent manager che non è riuscito ad inserire adeguatamente i disegni.

    scriptor
    Febbraio 1st, 2011
  3. Articolo molto ben fatto. Ci sono arrivato cercando informazioni sulla gittata delle armi di artiglieria cinquecentesca.
    ciao

    pino matarese
    Settembre 24th, 2011
  4. Articolo molto ben fatto ed esaustivo. In risposta a Giorgio le cosidette “palle incatenate” sono formate partendo da una semplice palla piena tagliata a metà. Le due meta sono fissate da una catena x mezzo di due anelli. Una volta fuoriuscita dalla bocca da fuoco la palla inizia a vorticare falciando tutto quello ke incontra specialmente sartiame e attrezzatura navale ed eventualmente anche qualche malcapitato. Il proiettile ke tu possiedi potrebbe essere solo una parte di una palla incatenata mancando l altra estremità. E difficcile peró trovare palle incatenate composte da due palle piene perche ridurrebbe la velocita del colpo e la precisone del tiro.
    Ciao

    simone
    Settembre 25th, 2013
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