La sagra della neve a Scala di Giocca (1970) di Angelino Tedde
Una vera sagra della neve, oggi, a Scala di Giocca. C’era da ridere, da rider, da ridere. Vedere le nuove leve degli autisti sardi impantanati, mummificati di bianco e grigio, ora sorridenti ora col volto accigliato: a momenti richiusi dentro le loro macchine, collocate nelle posizioni più impensate; a momenti fuori dalle macchine. Era un sali e scendi, uno sbattere di sportelli, un rombare improvviso di motori e un mesto spegnersi degli stessi, dopo una brusca slittata. C’era il panico nei volti di tutti: un panico bianco, il panico della neve che quando viola le nostra amene località, eternamente illuminate dal sole, ci fa degli autentici scherzi da frati, da frati contestatori, naturalmente.
E la spazzaneve? Una soltanto ce n’era e dava più colore che aiuto. Spiccava nella curva la spazzaneve gigantesca arancione in quella bufera bianca: gli spazzaneve, gli uomini, muovevano le braccia verso tutte le direzioni: sembravano, con quei cappucci e con quelle braccia sollevate e in movimento, dei frati invasati. Soltanto le luci blu della spazzaneve parevano infischiarsi di tutti: uomini, macchine e spazzaneve.
Poche le macchine dotate di catene, ma inesorabilmente bloccate dalle altre che le catene sognavano soltanto. Le autobotti, i camion, sovente privi di autisti, parevano elefanti bianchi addormentati, rassegnati una volta tanto a non fare gli sbruffoni. I veri eroi, anzi, i geni della situazione erano le Cinquecento, quelle di ultimo tipo naturalmente. Le Cinquecento hanno fatto miracoli: passavano ovunque e a volte potevano permettersi il lusso di prendere le scorciatoie delle curve dove c’era ancora la neve intatta, con scandalo e tremore dei feticisti, che versavano una lacrima per la loro macchina messa traversoni lungo la “Scala” più panoramica della Sardegna. Le Cinquecento vecchie, insieme agli autisti, hanno fatto veramente schifo. La macchina del mio collega Toti l’hanno dovuta faticosamente spingere: non ce la faceva, poveretta. E poi, questo caro mio collega, se ne stava in macchina, pacifico come al solito come se stesse seguendo un film di Fellini. C’era poi una collega al volante che voleva a tutti i costi risalire la “Scala” senza carburante nel motore, con la macchina stracarica delle più prosperose e voluminose colleghe che io abbia mai avute. Nemmeno la pompa più provvidenziale che porto sempre in macchina (per lavare la macchina “a sfroso” alla mia fonte campestre) e una providenzialissima bottiglia su cui ho riversato parte del mio carburante sono riuscito a far marciare questa macchina. Il bello è peròche la collega, avendo preso io il suo posto alla guida, insieme alle altre aveva risalito a piedi l’ultimo tratto della Scala ed era andata ad invocarsi ai piedi della Vergine Bianca, posta in cima alla Scala che pareva dire a tutti:- Un po’ di pazienza, figli cari, e fate il pieno prima di mettervi i viaggio.-
I geni della sagra, però, sono stati i pompieri, sempre benemeriti, che hanno cominciato a riversare dalla cima della Scala un torrente di acqua: per poco, salvi dalla neve non si finiva annegati. Insomma, lo spettacolo era esilarante. Qualcuno dava consigli: -Sterzare e contro- sterzare dolcemente o si va avanti o si va a finire in cunetta! – A queste manovre gli occhi di tutti si sbarravano e qualche feticista, chiudendo gli occhi, esclamava: – Ohi, questo matto mi viene addosso! – Altri consigliavano in coro:- Signore, non passi là. L’altro imperterrito con euforia da gincana procedeva con la macchina traversone e superato l’ostacolo della cunetta, della nave o del ghiaccio, trionfante, usciva dalla macchina esclamando:
– Meritereste una pernacchia per la vostra “pindacceria”. –
Poi rientrava in macchina e arrancando ora a destra ora a sinistra procedeva in mezzo a quella baraonda verso Sassari.
E i pompieri: continuavano a riversare su Scala di Giocca veri torrenti d’acqua. Erano felici: la neve si scioglieva, ma le macchine restavano ugualmente impantanate.
L’amico Toti però ce l’ha fatta ugualmente a giungere a Sassari: pare alle tre del pomeriggio.
Ed io. Io, infischiandomi del codice della strada e degli spazzaneve, dei pompieri, degli scivoloni che mi hanno rovinato un fianco; passando sulla strada ghiacciata, nelle scorciatoie, rischiando tamponamenti, slittamenti e mille altre rogne, facendo lo spericolato, l’aiutante di campo e l’autista senza conducenti, con le risate innocenti dei miei bambini, con la fifa e le raccomandazioni, ora accorate ora imperiosa della mia inseparabile metà sono arrivato miracolosamente illeso alle tredici a casa mia.
Avevo iniziato la scalata a mezzogiorno; dopo essere partito alle nove del mattino in mezzo alla bufera e a dieci centimetri di neve dal mio paese a quasi cinquecento metri di altitudine e a circa quaranta chilometri da Sassari, portandomi dietro un sacco e una scorta di “non fidarti” e di “a Sassari non ci arrivi” dei miei poco coraggiosi e avventurosi compaesani.
A Scala di Giocca sono arrivato, per fortuna, abbastanza collaudato, dopo essere finito in varie cunette e spiazzi “nevosi”.
Angelino Tedde
Pubblicato su “La Nuova Sardegna” del 16 febbraio 1970