Le pecore multiuso di Ange de Clermont
Ai tempi dei tempi, in un paese di bassa pianura della penisola delle martore, c’era un giovane molto attivo e colto che sapeva trarre profitto dalle sue esperienze di vita sia manuale che intellettuale.
Essendosi recato ad un consesso di illustri studiosi all’estero, presso un illustre istituzione di studi e ricerche, gli fu proposto, per la verità non solo a lui, ma a cento altre teste d’uovo, di costruire in tempi molto stretti una penna d’oca come usava fare nei secoli passati. Il giovane, che si era forgiato tra gli studi e i lavori manuali così come la pianura richiedeva, in breve tempo riuscì a costruire la penna d’oca. Gli altri, oltre a sprecare un numero vistoso di penne d’oca, persero in parte il titolo di teste d’uovo.
L’eminente giovane studioso rientrò in patria e come di consueto seppe affrontare non solo problemi teorici, ma anche pratici per l’incremento non solo degli studi, ma anche della produzione nel settore dell’allevamento. Recatosi nell’isola delle pecore, per una serie di ricerche su quelle popolazioni inselvatichite dall’isolamento, osservò la loro versatilità produttiva e pensò di utilizzarle anche nel suo paese di pianura dove scorrono i fiumi, l’erba è sempre fresca e la gente ama il prato inglese. Comprò una decina di pecore e cominciò ad utilizzarle come dei tosaerba, per evitare l’inquinamento dei tosaerba meccanici a gasolio o ad elettricità e l’inquinamento acustico.
I vicini, meravigliati, per un certo periodo osservarono e poi cominciarono a chiedere a noleggio una o due pecore, a secondo della dimensione del prato inglese. Durante il noleggio scoprirono che le pecore, oltre a brucare il prato, erano generose nel dare il loro latte mattutino e al tempo stesso a concimare lo stesso prato. Trattandosi di popolazioni in cui il senso della giustizia era molto radicato offrirono al giovane un compenso equo per il noleggio degli ovini. I soliti inglesi, conosciuto il pluriuso degli stessi ovini, pensarono di trarne profitto, e manipolando geneticamente gli embrioni, tentarono di produrre su scala industriale la pecora tosaerba-latte a colazione- concimazione-prati.
Al giovane naturalmente riconobbero i diritti dell’invenzione benché, essendo generoso, volle devolvere gl’incassi per la cura della lingua blu che spesso mieteva vittime tra gli ovini dell’isola delle pecore. Portata avanti questa invenzione lo stesso giovane studioso e produttore pensò bene di trarre profitto anche dal sughero, impiantando una sughereta nella pianura, suscitando molto pessimismo sulla crescita della piantagione. Le sughere però crebbero alte e diritte, a causa della mancanza di vento, dando ogni nove anni abbondanza di sughero e alimentando alcune piccole industrie di tappi per spumanti pregiati. Da ultimo, lo stesso giovane studioso-produttore impiantò dei filari di fichidindia dal cui frutto seppe ricavare gustose confetture che vennero vendute ai cosiddetti produttori di nicchia. Gl’isolani che, solcando il mare, giunsero verso la pianura della penisola della martore, a vedere la produttività ricavata dai loro prodotti, rimasero per tre giorni a bocca aperta e la chiusero soltanto quando gli abitanti della pianura, impietositi, misero nella loro bocca del sughero macinato che essi, notando che non aveva un gran buon sapore cominciarono, dopo averlo masticato, a sputarlo alla stessa maniera con cui, in modo non certo urbano, si andavano sputando le gomme provenienti dalle Americhe, che lasciavano per terra una poltiglia nera e quasi catramosa, sporcando le storiche piazze.