Chiaramonti, il sito e il nome di Mauro Maxia
L’abitato di Chiaramonti[1] occupa un elevato terrazzo calcareo che domina tutta la valle interna dell’Anglona. Ai margini dell’altura emergono tracce di insediamenti che risalgono al Neolitico e all’età nuragica. Sepolture ipogee sono conosciute sia sul versante settentrionale sia su quello meridionale[2]. Un nuraghe, vicino ai resti dell’antica chiesa di S. Caterina, occupa il ciglio della scarpata che precipita verso la fonte detta Su Tùlchis[3]. La strada che dalla distesa di Paùles risale verso il pianoro di S. Caterina e S. Giuliano presenta dei caratteri che consentono di assegnarne la realizzazione all’età romana[4].
La parte più antica dell’insediamento medievale occupa il pendio meridionale del pianoro sul quale sorgono i resti del castello doriano che, di fatto, si riducono ad un moncone di torre poi riutilizzato come campanile dell’antica parrocchiale di S. Matteo.
Il reticolo urbano di questo antico rione presenta i caratteri tipici dell’abitato medievale. Significativa è la sua denominazione, Carrùzu longu[5], che prende nome dalla più importante fra le vie che portavano al castello. Il primo termine di questo toponimo deriva dal genovese carruggio “via di città”[6] e rievoca in modo piuttosto evidente la signoria dei Doria. Ugualmente significativo è il titolo dell’antica parrocchiale di San Matteo, al cui culto era dedicata l’omonima chiesa gentilizia dei Doria a Genova. Un agiotoponimo segnala la perduta chiesa di S. Luigi[7], l’unica che sorgesse nel rione di Carrùzu Longu. Il monumento, l’unico a recare questo titolo in Anglona, era diroccato durante gli anni Trenta[8]; in seguito venne demolito e il suo materiale riutilizzato per la costruzione di vicine abitazioni.
Sull’origine del castello le fonti storiche tacciono e il parere degli studiosi non è univoco. Una lontana eco, ma non documentata, ne farebbe risalire la fondazione ai Malaspina[9]. Le prime citazioni, però, sono relativamente tarde e sono riferite ad una presenza consolidata da parte dei Doria.
La famiglia genovese dovette tenere in grande considerazione la posizione strategica del castello e probabilmente incentivò la creazione del nuovo abitato. La medesima denominazione del borgo, infatti, sul finire del Trecento acquisì un prestigio tale da prevalere quasi sulla denominazione della stessa Anglona. Tale aspetto rende probabile una dipendenza diretta di questa regione non più da Castelgenovese (Castelsardo) ma dal nuovo borgo chiaramontese. Di ciò è un chiaro indizio nel fatto che questa incontrada elesse insieme al villaggio di Chiaramonti un unico rappresentante, distinto da quello di Castelgenovese e della regione marittima di Coghinas, per la firma dell’atto di pace del 1388. Un altro indizio della preminenza del borgo chiaramontese sull’incontrada anglonese è rappresentato dal fatto che esso era retto da un podestà; una carica, questa, che depone a favore dell’esistenza di un’istituzione comunale, della quale però non si è conservata alcuna testimonianza esplicita.
Il borgo fu fondato con la funzione di caposaldo dell’Anglona interna. Ciò è efficacemente dimostrato dal titolo di castrum et civitas claramontana “castello e città di Chiaramonti”. L’antica parrocchiale era definita a sua volta ecclesia episcopalis S. Mattei, facendo sorgere interrogativi sulle sue presunte prerogative di cattedrale[10]. Tale circostanza poteva essere relativa al fatto che nell’area sottoposta a Chiaramonti era ubicata la sede episcopale di Bisarcio, della quale forse in quel periodo si progettava la traslazione.
É probabile che il borgo formatosi al piede del maniero si sia sviluppato a detrimento di due villaggi che erano ubicati, rispettivamente, nell’area compresa fra le chiese di S. Caterina, S. Giuliano e S. Michele[11] e nell’altra descritta dagli agiotoponimi S. Matteo, S. Pietro[12] e S. Vincenzo[13], più comunemente nota come s’Elva nana[14]. Successivamente il borgo si ingrandì accogliendo i superstiti di Orria Pitzinna dopo che costoro avevano abbandonato in un primo tempo il loro villaggio e in seguito il sito denominato Bidda nòa. Esso raggiunse ben presto l’apice della sua importanza, tanto che nell’atto di pace del 1388 il toponimo Çaramonte è associato con quello dell’Anglona[15], diventandone alternativo.
È possibile che la fortezza sia stata edificata a seguito dell’ampliamento dei possedimenti doriani verso il Monteacuto, un evento che si realizzò dopo l’estinzione dell’istituzione giudicale logudorese. Si dovrà ritenere comunque che la formazione del nuovo abitato sia avvenuta non prima della metà del Trecento, in quanto il toponimo non compare in alcun documento di tale periodo mentre esso è attestato per la prima volta nel 1388[16] e in seguito in alcune delle note iniziali del codice quattrocentesco di S. Pietro di Sorres[17]. Anche le altre attestazioni sono tutte riferibili alla seconda metà del XIV secolo[18].
L’origine dell’abitato si dovrà dunque ad una dinamica di attrazione esercitata dalla struttura militare rappresentata dal castello[19] e da un presumibile sistema di fortificazioni. In proposito, nella toponimia del centro storico si rileva la denominazione Muru Pianèdda che nel secondo termine evoca l’omonimo rione di Castelsardo. Esso è relativo all’orlo occidentale della sella che congiunge l’eminenza del castello con l’avvallamento attraversato dalla lunga via del Carmelo. Anche in questo caso, il termine Pianèdda trae la sua motivazione dai caratteri geomorfici del luogo, il quale ricorda da vicino l’insellatura della Pianédda castellanese. Il primo membro del toponimo invece fa riferimento ad un muro che localmente nessuno ricorda a memoria d’uomo. Potrebbe trattarsi di un indizio relativo ad un’eventuale cinta muraria.
La denominazione Codìna Rasa, cui si è accennato, significa letteralmente “roccia spianata e spoglia”[20] e si attaglia perfettamente ai caratteri fisici della scabra altura. In questa ampia distesa, dominante e facilmente difendibile, Guglielmo III di Narbona, che il 15 febbraio del 1412 verosimilmente vi era accampato col suo esercito, concesse in feudo il villaggio di Monti a Pietro de Fenu, cittadino sassarese originario di quel centro del Monteacuto[21].
Un altro interessante toponimo urbano è Sa Nièra “la ghiacciaia”[22]. Esso è relativo ad una spelonca che in antico veniva utilizzata per l’immagazzinamento e il compattamento della neve, operazione che consentiva di disporre di scorte di ghiaccio fino ad estate inoltrata[23].
Appena fuori dell’abitato si rileva il toponimo Bulvàris[24] “recinti per bovini”, che segnala la presenza in questo sito dei recinti dove venivano custoditi i bovini del villaggio, secondo un’antica consuetudine documentata nei secoli precedenti al Trecento[25]. Del toponimo si è appresa localmente la pronunciabuivvàriu sanu[26], che probabilmente è da ricostruire in Buivvàri Usànu, il cui secondo elemento rappresenta una variante aferetica dell’aggettivo (b)osànu ‘bosano, di Bosa’ che, come è noto, è anche il nome sardo del vento di libeccio; vento che, appunto, soffia da sud-ovest, cioè dalla stessa direzione che corrisponde a quella della località dove si trovavano gli antichi recinti.
La grafia più antica, Çaramonte va interpretata come una variante grafica rispetto all’attuale pronunciaTzaramonte che è in atto sin dall’origine, come dimostrano sia la suddetta forma con la cediglia sia la grafia Saramonte, a sua volta attestata agli inizi del Quattrocento[27] ed è confermata in documenti della prima metà del Seicento[28].
Fra le forme successive la grafia Çiaramonte[29], che risale al 1412, appare un compromesso fra la forma sarda Tzaramònte e quella sassarese Ciaramònti, che verosimilmente doveva essere già vitale. Le forme Claramontis e Claramonte rappresentano invece dei cultismi, probabilmente insorti per l’influsso esercitato da gentilizi iberici o italiani, dai quali è scaturita verosimilmente la denominazione ufficiale attuale.
La prima attestazione cartografica del toponimo è relativamente tarda. Essa risale probabilmente al 1639 e riporta la forma spagnola Claramonte[30]. Più interessanti risultano l’Atlante di Giovanni Oliva (1638), in cui è riportata la grafia ataramonte, che riecheggia la forma autoctona, e la carta della Sardegna di Domenico Colonbino (1720), in cui risulta la grafia Csaramonte[31].
L’attuale denominazione ufficiale appare fuorviante rispetto all’origine autoctona del toponimo che ha una struttura bimembre, essendo esso costituito dai due distinti elementi tzàra e monte. Un caso analogo è rappresentato dal toponimo Orgomònte (Orani)[32], nel quale si distingue il radicaleorg-[33] unito, come si suppone nel presente caso, al secondo elemento monte “monte”. Un celebre esempio di oronimo bimembre diglossico è rappresentato dal Mongibello, denominazione popolare del vulcano Etna, nella quale concorrono un primo elemento neolatino mon-, che è un’apocope dimonte, e un secondo elemento gibello, derivato dall’arabo gebel “monte”.
Poiché il significato del secondo termine del toponimo in questione è evidente, l’analisi etimologica va condotta in riferimento al primo elemento. In molti ritengono che il toponimo derivi da un’originaria forma claru de monte “punto panoramico del monte”. E in effetti sotto il profilo geomorfico una tale relazione non può assolutamente passare inosservata, poiché il sito dove venne fondato il castello occupa proprio il punto dominante e panoramico del colle sul quale si è sviluppato in seguito l’abitato. Tuttavia, rispetto a tale supposta forma originaria, sul piano fonetico si oppone vistosamente l’esitoçara-, sara-, tara-, tzara- del primo elemento che risulta attestato già dalle forme originarie. Il sardo antico clàru nell’area dialettale logudorese settentrionale dà regolarmente l’esito ciàru, giàru, jàru. Ora, poiché si deve ritenere che tali esiti siano insorti fin dagli ultimi due secoli del medioevo, si deve supporre che le grafie più antiche del toponimo avrebbero dovuto corrispondere a Ciaramònte[34], *Giaramònte. Le grafie documentate, al contrario, lasciano credere che si tratti di esiti formatisi o nella latinità oppure in ambito paleosardo. Ciò discende dal fatto che la pronuncia del fonema th nel Logudoro era ancora tale nel periodo in cui furono promulgati gli Statuti di Sassari, mentre nel Cinquecento nel dominio linguistico logudorese settentrionale il medesimo fonema si era ormai evoluto in t. In tal senso apparirebbe significativa la citata grafia Ataramonte attestata nell’Atlantedell’Oliva. Ma pretendere un esito cl- > th- (ç-, tz-, s-, t-) appare del tutto contrario alle norme della fonetica storica del logudorese, le quali per il suddetto esito presuppongono gr. th-, lat. ci-, ti-, ital.c’, spagn. ch- o forme fortemente indiziate di origine paleosarda[35].
L’elemento di cui si discute sembra poversi ricondurre al noto fitonimo tzàra, a(u)tzàra, aussàra”smilace, clematide”[36], che è di probabile origine paleosarda[37], dal quale sono derivati il toponimoAtzàra e successivamente l’omonimo cognome[38]. Il fatto che l’area di diffusione di questo fitonimo sia attualmente ristretta al dominio campidanese e che nel Logudoro oggi la clematide sia nota col termine bidighìnzu[39] non preclude una precedente diffusione del sostantivo (at)tzàra anche nel Nord dell’isola. Ciò perché il termine bidighìnzu, che è di origine latina[40], ha sostituito la precedente denominazione paleosarda in tutto il Settentrione dell’isola e nella stessa Barbagia, estendendo il proprio influsso fino ad Oristano[41]. Nella medesima area di bidighìnzu è attestato il fitonimo di probabile origine paleosarda tét(t)i “smilace” che con le varianti campidanesi tintiòni, tintiòi arriva a coprire anche la parte meridionale dell’isola[42]. Ora, se si considera che per la smilace si dispone di un’unica denominazione per l’intera Sardegna, si può accettare che anche (at)tzàra fosse l’unica denominazione paleosarda per indicare la clematide. E in effetti, escludendo per ovvi motivi l’area abitata, nella macchia mediterranea che caratterizza il territorio di Chiaramonti la clematide è presente in modo notevole. Va osservato anche un particolare piuttosto significativo: nell’area a insediamento sparso denominata Sassu Jòsso[43] la vitalba (Clematis vitalba L.), i cui resistenti sarmenti sono utilizzati per legare le fascine di lentischio, è conosciuta non con la denominazione di bidighìnzu, bensì con quella di tétti-tétti[44]. Se ne deduce che, almeno in questa area, così come accade tuttora per il campidanese, le denominazioni della smilace e della clematide tendono ad essere confuse. Quantunque questa zona sia piuttosto limitata e non possa fare testo, il particolare non può passare inosservato. La proposta che si può avanzare su questo specifico aspetto consiste dunque nell’ipotizzare che in origine tét(t)i e (at)tzàra valessero, rispettivamente, “smilace” e “clematide” per l’intero territorio sardo.
Il toponimo Tzaramònte sembrerebbe dunque indicare che in questa altura in origine abbondava latzàra “clematide”, per cui il suo significato originario poteva corrispondere verosimilmente a quello di “monte della clematide”.
Si è accennato prima ai toponimi diglossici, cioè a quelle denominazioni che inglobano degli elementi provenienti da due lingue diverse. Essi hanno origine spesso in situazioni di trapasso linguistico, in quei particolari frangenti storici nei quali si ha la sovrapposizione di un nuovo codice linguistico rispetto ad un altro[45]. Nel caso della forma sarda Tzaramònte non si può ignorare la possibilità che il primo membro del toponimo abbia una relazione col libio-punico zarata/zarai[46]. In particolare non sembra insensato l’accostamento con il berbero àzar, attestato già in antico da Tolomeo nel toponimo Azar òros “monte roccia”[47]. In tal senso appare suggestivo il confronto con l’oronimoMonte Zara (Monastir), nel quale il significato di “monte (della) rupe” trova un’esemplare corrispondenza nei caratteri geomorfici dell’altura che esso denomina.
Poiché il citato vocabolo libico è sicuramente attestato in siti della Sardegna meridionale che conobbero il dominio punico[48], l’esempio può essere esteso anche al caso di Chiaramonti. É ormai scientificamente acquisito che i Punici ebbero in Anglona una delle loro più significative aree di influenza materiale e culturale. Ciò è ampiamente documentato da una serie di stele funerarie e da altri reperti ritrovati in vari siti sia costieri sia dell’entroterra[49] che giustificherebbero l’azione di tale influsso anche nell’odierno territorio di Chiaramonti.
Se nel caso del citato Monte Zara (pron. tzàra) la posizione del termine romanzo è determinata dalla struttura della lingua sarda, nulla vieta che l’oronimo Tzaramonte sia derivato direttamente dalle strutture sintattiche del latino (*tzara mons) o del greco (àzar oros). In entrambe le lingue infatti il termine “monte” viene posposto. In tal caso il toponimo in questione avrebbe un originario significato di “monte della rupe” rispetto al quale il contesto geomorfico della località mostra una aderenza di esemplare valore probatorio. A nessuno può sfuggire che il toponimo Tzaramonte designa infatti una altissima rupe che si segnala per il suo inconfondibile profilo da molti chilometri di distanza. Sotto questo profilo appaiono interessanti gli oronimi Monte Saralói (Bitti), Taccu Tara (Sadali) e Monte Taratta (Tresnuraghes, che, similmente al toponimo in questione, mostrano di essere costruiti con la medesima radice tzar-, sar-, tar- del toponimo in questione.
[1] Le prime attestazioni del nome del villaggio sono documentate nelle seguenti fonti: CSPS = Codice di San Pietro di Sorres. Testo logudorese del XV secolo, a cura di A. Sanna, Cagliari, 1956, n. 8:Caramonte; n. 35: Zaramonte; n. 269: Saramonte; CDS = Tola P., Codex Diplomaticus Sardinae, “Historiae Patriae Monumenta”, X, II vol., Torino 1861-68, vol. I, doc. CL, p. 837; vol. II, doc. XII, p. 46:Çaramonte; II, doc. XV: Çiaramonte; Claramunt. CS, p. 176: Claramontis.
[2] Relativamente al versante settentrionale una domu de janas, contenente il corredo funebre, è venuta alla luce alcuni anni fa nella località sa Tedàja; per il versante meridionale si conosce una necropoli a domus, in gran parte compromessa da interventi arbitrari, che prende il nome di Sos Furrighèsos.
[3] Cfr. IGM = Istituto Geografico Militare, Carta d’Italia, scala 1:25.00, f. 180 II N.O: “f.na su Tuschisi”.
[4] Per questi toponimi si rimanda a un prossimo articolo in cui si parlerà del villaggio di Ostiano de Monte.
[5] NLAC = MAXIA M., I nomi di luogo dell’Anglona e della Bassa Valle del Coghinas, Ozieri 1994, p. 121.
[6] DES = M. L. Wagner, Dizionario Etimologico Sardo, I, Heidelberg 1960; II, I Heidelberg 1962; III, Indici delle voci e delle forme dialettali compilati da Raffaele G. Urciolo, Heidelberg 1964, vol. I, p. 309.
[7] Devo questa ed altre notizie al sig. Gesuino Montesu, prodigo informatore scomparso nel frattempo, alla cui memoria rivolgo i miei sentimenti di riconoscenza e un affettuoso ricordo.
[8] Notizia fornita dal sig. Nicolino Accorrà, memoria storica della comunità chiaramontese, scomparso nel frattempo.
[9] Cfr. Meloni G., Casteldoria. Processo per una resa, in “Archivio Storico Sardo”, Cagliari, 1986, vol. XXXV, p. 101.
[10] Virdis A., Porte sante in Logudoro, in Archivio Storico di Sassari, anno XII, Sassari 1986, pp. 204-205.
[11] NLAC, p. 378: “Santa Caderìna”; p. 386: “Santu “Igliànu”; p. 388: “Santu Miàle”.
[12] NLAC, p. 388: “Santu Matteu”; p. 390: “Santu Pedru”.
[13] Il toponimo “S. Vincenzo” non è censito nel catasto, nel quale va individuato in corrispondenza del f. 2, mapp. 20; esso è attestato localmente nella forma Santu Pitzènte; la notizia è stata riferita dal sig. Domenico Accorrà, che possiede un appezzamento nella contigua località di Elva Nana.
[14] NLAC, p. 162.
[15] CDS, t. I, parte II, sec. XIV, doc. CL, p. 837. L’atto fu sottoscritto da Nicolò de Vare, che fu nominato procuratore generale, dal podestà Joanne Pisquella e dai notabili Mariano Sanna, Raymundo Siloca, Furadu Furcha, Leonardo Dardar (si intenda “d’Ardara”), Comita Manunça, Guantino Murgia, Andrea Squintu, Gantino Capra, Petru de Iscanu, Joanne Mudadu, Nicolao Churchulleo, Arçoco Pinna, Leonardo de Muru, Petru Claru, Petrone de Villa, Petru de Yana, Comitacu de Are, Gantino de Mela, Leonardo de Campu, Furadu Falche, Petru Murgia, Georgio de Lacon, Elia de Çori, Christofolo Usay, Nicolao Pinna, Joanne Seda, Nicolao de Cerchido, Comita de Serra, Çaru de Puçolu e Petru Falche.
[16] CDS, I, parte II, doc. CL, ibidem.
[17] CSPS, n. 8.
[18] A.C.A. = Archivo de la Corona de Aragón, Barcellona, Cancillerìa, registro 1020, f. 151; reg. 1022, ff. 35-42.
[19] Cfr. Casula F. C., “Castelli e fortezze”, in Atlante della Sardegna, a cura di R. Pracchi e A. Terrosu Asole con la direzione cartografica di M. Riccardi, Roma 1980, fasc. II, pp. 109-113.
[20] DES, vol. I, p. 392: “kòte”; II 338.
[21] CDS, II, doc. XII, p. 46.
[22] DES, vol. II, p. 169.
[23] Un identico toponimo è attestato anche a Nulvi.
[24] Mappa catastale del Comune di Chiaramonti, foglio 19, mapp.109; cfr. NLAC, p. 104.
[25] Cfr. Statuti Sassaresi, I, cap. 106; Carta de Logu de Arborea, n. 179.
[26] La notizia è stata acquisita personalmente presso il sig. Giovanni Tedde.
[27] CSP, nn. 35, 269.
[28] Archivio Parrocchiale di Sedini, Quinque Libri del villaggio di Spelungas, ff. 33, 34.
[29] CDS, vol. II, doc. XV, p. 52.
[30] Piloni L., Le carte geografiche della Sardegna, Cagliari, 1974.
[31] Piloni L. cit., tavv. XXXVI, XVII, LV.
[32] NLS = Paulis G., I nomi di luogo della Sardegna, I, Roma, 1986, p. 224.
[33] LS = M. L. Wagner, La lingua sarda. Storia spirito e forma, Berna 1954, pp. 289-291.
[34] La grafia Ciaramonte, in effetti, è attestata nell’ACCA = Archivio del Capitolo della Cattedrale di Ampurias, Castelsardo, Vol. 1, f. 10, l. 18 ma si tratta di una forma catalana da leggere Siaramonte; cfr. DA = Mauro Maxia, La diocesi di Ampurias. Studio storico-onomastico sull’insediamento umano medioevale, Chiarella, Sassari, 1997, p. 225.
[35] Sul medesimo argomento cfr. FSS = Wagner M. L., Fonetica storica del sardo, Introduzione traduzione e appendice di Giulio Paulis, Cagliari, 1984 , pp. 179 segg.; 536 segg.
[36] NPS = Paulis G., I nomi popolari delle piante in Sardegna. Etimologia storia tradizioni, Roma 1992, pp. 182-183.
[37] DES I 153.
[38] CSSO = Pittau M., I cognomi della Sardegna. Significato e origine di 5.000 cognomi, Roma, 1992, p. 16. Il cognome Atzara non va confuso con Azara e con le varianti di quest’ultimo Asara, Dasara, Sara che sono di origine corsa e hanno alla base il toponimo Sara, che è una forma popolare di Serra di Scopamene, comune della Corsica meridionale vicino alle Bocche di Bonifacio.
[39] DES II 579-580; NPS, pp. 181-182.
[40] DES II 579-580.
[41] Ibidem.
[42] DES II 480; NPS, pp. 220-221.
[43] IGM, f. 180 II NE.
[44] Questa variante conferma la bontà dell’intuizione di Giulio Paulis, in NPS, p. 221, sulla probabile origine onomatopeica di questo fitonimo.
[45] LS, p. 287.
[46] Paulis G., Osservazioni toponomastiche sul sostrato preromano della Sardegna, Atti del 1° Convegno di studi “Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i Paesi del Mediterraneo”, Selargius-cagliari 1985, pp. 20-21; NLS, p. XXVII.
[47] Tolomeo, IV, 5.
[48] Paulis G., Osservazioni toponomastiche sul sostrato preromano della Sardegna, cit., ivi.
[49] Barreca F., Insediamenti punici in Sardegna, in Atlante della Sardegna cit., pp. 88-90.