La popolazione di Chiaramonti nel Settecento di Giovanni Soro e Andreina Cascioni
La popolazione di Chiaramonti nel Settecento
I quinque libri
La Sardegna del Settecento.
Il Settecento per l’Occidente è un secolo estremamente variegato: è il secolo della rivoluzione industriale inglese, della rivoluzione nordamericana, della rivoluzione francese e della sua diffusione per opera di Napoleone, della fine dell’ Europa confessionale e della rivoluzione culturale illuministica.
L’Italia, divisa in tanti piccoli stati , risentì sia pure moderatamente di questi profondi rivolgimenti subendo, specie nella penisola, almeno in epoca napoleonica, radicali mutamenti.
La Sardegna, nell’ultimo decennio del secolo, sia pure vivacizzata da numerose sommosse popolari e dai moti antifeudali, non si lasciò coinvolgere a pieno dalla rivoluzione francese, da quella industriale e tanto meno dalla rivoluzione culturale illuministica, ma si attardò nel clima dell’ancien règime in cui la nobiltà e il clero ebbero il sopravvento in mezzo ad una popolazione scarsa e dispersa nel territorio, alle prese coi problemi di sussistenza e sottoposta alle numerose vessazioni feudali (1).
Nel corso del Settecento la popolazione sarda passò dai 300 mila ai 360 mila abitanti, e tolte le città regie di Cagliari, Sassari, Oristano, Alghero, Iglesias, Bosa e Castelsardo, era suddivisa in circa 350 piccoli centri rurali, appartenenti a circa 360 feudi, di cui 188 di feudatari sardo-piemontesi e 172 spagnoli. I primi tendevano a resiedere nelle città più che nei borghi e i secondi, affidando i feudi ai “podatari” tendevano a risiedere in Spagna. I nobili, generalmente si trattava di piccola nobiltà, erano circa sei mila e il clero, tra quello regolare e quello secolare era costituito da circa otto mila unità, nel totale il ceto privilegiato costituiva oltre il 3% della popolazione (2).
Data l’organizzazione feudale, lo scarso commercio e le ridotte iniziative imprenditoriali in tutti i settori dell’economia, le rendite tendevano ad assottigliarsi, per cui le lotte sia all’interno della nobiltà che del clero sia all’interno degli stessi ordini privilegiati erano frequenti e violente. Non mancavano altresì le persistenti rivalità e contrasti tra le città e i centri rurali.
A ciò si aggiunga il flagello costante della malaria, delle epidemie ricorrenti e delle ricorrenti carestie (3).
Infine si consideri l’infausto inizio del secolo che vide la Sardegna nel 1708 passare dalla Spagna all’Austria e poi, nel 1717 tornare per un anno alla Spagna e quindi all’Auasria, nel 1720, da questa al Piemonte, che per un trentennio sperò di barattarla con territori di terraferma. Da sottolineare i vincoli diplomatici imposti al principe di Piemonte e neo re di Sardegna: l’assoluto rispetto della lingua ufficiale castigliana, delle consuetudini giuridiche e circoscrizionali e della legislazione spagnola.
Questi continui passaggi “coloniali” non poterono non influire sui ceti privilegiati, che spesso costituirono delle vere e proprie fazioni a favore o contro la Spagna o l’Austria (4).
Lo scarso controllo del territorio, vasto e, specie nella parte settentrionale, impervio, da parte di un’autorità centrale, completano il quadro.
Ad ogni modo il secolo del dominio dei Savoia può essere suddiviso in due periodi che vanno dal 1820 al 1860 e da quest’anno alla fine del secolo.
Il primo può definirsi quello dell’occupazione e dell’organizzazione amministrativa omogenea del territorio e il secondo quello dell’inizio delle riforme e della decisa formazione di una nuova classe dirigente filopiemontese.
Chiaramonti nel Settecento.
I dati socio economici su Chiaramonti possono desumersi dalla relazione, risalente al 1769, di V. Ormedilla dal momento che il paese fa parte del Principato di Anglona, comprendente gli altri paesi viciniori.
Chiaramonti risulta per popolazione il secondo paese del Principato, con 1.196 anime, dal momento che Nulvi, centro principale, ne ha 3.590, Sedini 836, Martis 753, Laerru 550, Perfugas 338, Bulzi 292.
D’altra parte dai censimenti pervenutici prima e nel corso del Settecento il paese conta 856 abit. alle soglie del 1700 (1698), 1.238 nel 1728, 1.167 a metà del secolo (1751), con un evidente incremento nei primi 30 anni, visto che passa da 856 nel 1698 a 1.238 nel 1728 con un incremento di 382 abitanti. Ventitré anni dopo subisce un decremento di 71 abit., per riprendersi 18 anni più tardi (1769) con un incremento di 28 anime senza però riuscire a recuperare il picco del 1728. Nel 1780 raggiunge i 1.333 abit. di cui 664 maschi e 669 femmine uniformandosi in tal modo al trend di crescita della vicina Gallura.
Per quanto riguarda le rendite feudali, il paese si colloca al secondo posto con rendite per lire sarde 1.165, mentre Nulvi aveva rendite per lire 2.190, Sedini con 770 e Martis 835, Laerru 453, Perfugas 770 e Bulzi 231. Anche in questo caso il paese si colloca subito dopo Nulvi con una rendita del 50% rispetto a quella del maggior centro dell’Anglona.
Il totale delle rendite dei diritti dell’intero principato anglonese era di 2.387,10.
L’Ormedilla ci informa altresì che il paese è provvisto di 2 sacerdoti che non sarebbero dei più zelanti “con un convento di Carmelitani” Per quanto riguarda l’agricoltura il paese sembra godere di un certo benessere sia pure relativo a causa delle frequenti carestie, pestilenze e lotte tra fazioni e famiglie diverse. Nella prima metà del secolo è indubbio che il paese fosse controllato economicamente dall’egemonia della nobile famiglia Delitala Tedde in parte di origini chiaramontese in parte nulvese. Sembra che la malavita imperversasse furiosamente a causa delle lotte tra le fazioni che si servivano di quelli che nel 1739 verranno definiti bandeados.
E’ in questo contesto della prima metà del secolo 1725-1760, che si colloca la storia non ancora perfettamente chiarita di donna Lucia Delitala Tedde (Nulvi 1705 Chiaramonti 1757), la quale da indomita amazzone percorre l’Anglona e particolarmente i salti di el Sasso affronta e sconfigge almeno in parte i suoi avversari, spesso della sua stessa famiglia come il capo squadriglia Giovanni Maria Tedde, freddato in paese da Giovanni Fais dopo un oltraggio alla sua coetanea Donna Lucia.
Costretta dal Rivarolo alla resa pare che sconti i propri malefatti in due anni di esilio a Cagliari e, convertita dal carismatico gesuita padre Giovanni Battista Vassallo, mediatore di paci tra le fazioni, dopo aver destinato il suo cospicuo patrimonio (tra 5 o 6 mila scudi) al collegio gesuitico di Ozieri, viene a sua volta uccisa a tradimento nella sua stessa abitazione in Chiaramonti alcuni anni dopo aver fatto il testamento (1755).
Di questo stesso periodo è altresì l’epopea non ancora chiarita dell’imprendibile Giovanni Fais che seppe tener testa quanto donna Lucia e anche da suo alleato, nelle varie lotte tra le fazioni dell’Anglona e di tutto il Capo di Sopra e che non volle mai piegarsi ai viceré piemontesi, ani viene inserito nella lista dei banderados predisposta nel 1739.
Riuscito a sfuggire più volte alla caccia che i vari viceré gli diedero, fu vittima in Sassari del tradimento di alcuni elementi della sua stessa banda che, dopo averlo ubriacato lo finirono nel sonno e successivamente il suo cadavere per iniziativa delle autorità fu oggetto di dileggio in Sassari e in Chiaramonti come ammonimento a tutti i capi squadriglia e bandeados dell’epoca
1. 3. I censimenti dal 1678 al 1780.
Nel 1678, allorché si effettuò nell’Isola il terzo censimento, la villa di Claramonte che faceva parte dell’incontrada dell’Anglona contava 292 fuochi, pertanto escludendo i fuochi non censiti e applicando il coefficiente di alcuni demografi la popolazione si aggirava sui 1.168 ab. (5)
Dieci anni dopo, nel 1688, in occasione della determinazione del donativo da offrire al sovrano spagnolo, venne eseguito il quarto censimento e la villa de Claramonte registrò 218 fuochi per un totale di 634 ab. di cui 325 maschi e 309 femmine.
Confrontando i due censimenti notiamo che nel decennio il calo demografico del nostro centro raggiunse il 45,72%, risentendo sicuramente gli effetti della spaventosa carestia del 1680-81 (6).
A Claramonte, come del resto in tutta la Sardegna, si verificò, dunque, un forte calo demografico in quanto si registrarono complessivamente 74 fuochi e 534 unità in meno.
La grave carestia che interessò l’intera isola si ripercosse cioè con effetti devastanti sulla popolazione che nel giro di dieci anni si ridusse di oltre un terzo.
Nel quinto censimento, eseguito nel 1698, per determinare l’ammontare del solito donativo, offerto al sovrano dai tre stamenti sardi (ecclesiastico, reale e militare), la popolazione risultò di 856 anime, suddivise in 340 maschi e 517 femmine, per un totale di 237 fuochi ed un coefficiente per nucleo familiare di 3,61 persone.
Mentre dieci anni prima i maschi superavano di 16 unità le femmine, in questo censimento le femmine superarono i maschi di 176 unità.
In effetti queste passarono da 309 a 516, mentre i maschi aumentarono solo di 15 unità.
Notiamo anche una crescita decennale di 222 unità, pari ad un incremento annuo di 22,2 persone per cui, nel decennio, si registrò una crescita demografica pari al 35%.
Tale incremento si allinea con quello generale dell’Isola che dai 61.645 fuochi fiscali del 1688 era passato ai 66.778 (7).
Quest’ultimo dato è da considerare mediocre se raffrontato col vicino centro di Nulvi, che, nello stesso periodo, registrò un incremento decennale del 63%. E’, invece, considerevole se confrontato con Martis, che registrò un incremento del 18,4%, e con Perfugas che addirittura presentò un decremento del 16,5% dovuto probabilmente ad epidemie locali (8).
Nel 1728, a otto anni dall’ inizio della dominazione sabauda, Vittorio Amedeo II ordinò che si facesse un esatto censimento della popolazione, per ripartire più equamente le imposte fra i sudditi.
In questo censimento il villaggio di Claramonte registrò 376 fuochi per un totale di 1.238 anime, con un aumento rispetto al censimento del 1698 pari a 382 unità, una media annuale di 13 persone in più ed una percentuale in crescita del 44,6%.
Si contavano anche 139 fuochi in più, ma era diminuito il coefficiente del nucleo familiare che passò a 3,29 persone.
In questo censimento gli abitanti non erano distinti per sesso (9). Il censimento successivo del 1751, dava 328 fuochi e 1.167 ab., di cui 556 M e 611 F. I fuochi erano dunque diminuiti di 48 unità ed anche la popolazione era diminuita di 71 unità, ma in compenso era aumentato il coefficiente del nucleo familiare che era salito a 3,56 persone.
Le condizioni socioeconomiche.
A Claramonte il Settecento si apre all’insegna di un matrimonio che certamente ha fatto parlare molto di sé: la nobildonna Catalinetta Pes Delitala sposa nel 1705 il nobiluomo Don Baingio Pes Tedde.
Altri nobili, ma tutti della stessa famiglia – Pes Sardo e Tedde Delitala- si collegano parentelarmente e controllano e gestiscono attraverso il comparatico tutte le famiglie del villaggio, come risulta dai quinque libri.
Ad essi si unisce il ceto medio, composto da cavalieri, piccoli proprietari terrieri, agricoltori che possiedono aratro e giogo di buoi e da pochissimi pastori (10). E’ questo un periodo in cui siverificano numerosi omicidi come appunto si rileva da libri defunctorum (11).
Inoltre, apprendiamo dalle fonti documentali che nella seconda parte del secolo altri personaggi, che pare volessero mettere in ombra la piccola nobiltà primeggiavano nella comunità chiaramontese: sono i Migaleddu, con a capo Baldassarre, Giorgio e Cristobal Falqui, i quali, numerosissime volte sono padrini nei battesimi e nelle cresime e testimoni alle nozze dei propri compaesani.
Si rileva anche che in questo periodo, a partire dal 1776 e sino al 1825, ben 13 chiaramontesi conseguirono gradi accademici presso l’Università di Sassari (12).
Un altro strato sociale che assume importanza è quello del clero, la cui influenza si estenderà per tutta la prima metà dell’Ottocento (13).
I suoi numerosi appartenenti sono presenti nella vita quotidiana del paese, amministrano i sacramenti, registrando le nascite e le cresime, i matrimoni e le sepolture; talvolta svolgendo la funzione notarile allorché redigono i testamenti dei non abbienti, che sovente lasciano i loro modesti averi alla chiesa (14).
La storia della popolazione dai quinque libri
La storia della popolazione di Chiaramonti nel Settecento ha come fonti i quinque libri della chiesa parrocchiale della Santa Croce e di San Matteo. I dati sono stati desunti rispettivamente dai libri dei battezzati, dei matrimoni, dei defunti. Come risaputo l’anagrafe comunale, istituita nel Regno Sardo con legge del 1855, entra in vigore nel 1856, (15), per cui i libri parrocchiali sono le uniche fonti attraverso le quali è possibile ricostruire con una certa attendibilità il movimento demografico di un paese prima di tale data.
Queste fonti, così come quelle di ogni parrocchia, appaiono lacunose in quanto non coprono tutto il secolo al quale si etende la nostra ricerca.
Dei libri baptizatorum ci sono pervenuti quelli che vanno dal 1713 al 1743 e dal 1751 al 1799: pertanto mancano i libri che vanno dal 1700 al 1712 (anche se del 1713 mancano i primi tre mesi e le registrazioni iniziano da aprile) e dal 1744 al 1750. Queste due lacune comprendono purtroppo quasi diciotto anni di registrazioni non altrimenti colmabili. Bisogna sottolineare che questi libri, tuttavia, sono i meno lacunosi che ci siano pervenuti; infatti, dei libri defunctorum mancano ben 79 anni di registrazioni in quanto ci sono pervenuti soltanto quelli che vanno dal 1780 al 1799.
Dei libri matrimoniorum ci sono pervenuti gli atti che vanno dal 1704 al 1741 e dal 1780 al 1799, con lacune che vanno rispettivamente dal 1700 al 1703 e 1742 al 1779, per un totale di circa 41 anni.
Libri baptizatorumI registri dei battezzati esaminati sono quattro e precisamente il <<liber baptizatorum primus>> il <<liber baptizatorum secundus,>> il <<liber baptizatorum quartus >> e, infine il <<<liber baptizatorum quintus.>> Il primo libro, che comprende gli anni dal 1713 al 1743, è senza dubbio quello che si trova nel peggiore stato di conservazione.
Il <<liber baptizatorum secundus>> , comprendente gli anni dal 1750 al 1777, presenta sul frontespizio la scritta <<libro que van escriptos los que se han bauptizatar y confirmar en la parroquial iglesia <de> San Matheo de la villa del Claramonty que sirviran y padrinos y madrinas <sendo vicario el muy reverendo Matheo Ara <Canu Pinna 16> de noviembre del ano 1750>>
La registrazione degli atti si interrompe in occasione delle visite pastorali per consentire la trascrizione dell’elenco dei cresimati.
Le ultime pagine, infine, riportano decreti e suggerimenti del vescovo che invita i sacerdoti a recitare in <<idioma materno >>, prima della messa solenne, l’atto di fede, di speranza e di carità.
Il liber quartus e quintus, rilegati anch’essi, con la copertina in cartapecora, registrano rispettivamente i periodi 1777-1790 e 1790-1800.
Normalmente gli atti riportano la data del battesimo, il nome del battezzato, quelli dei genitori, dei padrini e la loro provenienza.
In caso di battezzati illegittimi viene riportato il nome e il cognome della madre e per i neonati abbandonati è usata la formula << sus padre se ignoran >>. A partire dal 1799 vengono indicati anche l’ora e il giorno della nascita oltre che, logicamente, la data del battesimo.
La firma del sacerdote che ha ufficiato il rito appare negli atti a partire dal 1742; e prima di tale data il nome dell’officiante si legge inserito nell’atto stesso.
La lingua con la quale l’atto è redatto è la sarda fino al 1758, poi prevale il castigliano.
Nell’esaminare gli atti di battesimo, abbiamo notato che uno dei sacerdoti più accurati e precisi nelle registrazioni è Alonso Cossiga, nato in Chiaramonti nel 1730 e deceduto nell’aprile del 1799; al contrario il sacerdote Lorenzo Pinna, suo coadiutore, si contraddistingue per il disordine e la distrazione con cui redige le carte; talvolta dimentica di trascrivere il nome del battezzato, quello dei padrini oppure indica il 30 febbraio come data di battesimo.