“Stefano Deledda (1942-2025), un marito, un padre e un nonno esemplare”
E’ tornato alla casa del Padre Stefano Deledda di Perfugas, coniuge di Francesca Bussu di Chiaramonti un caro e generoso amico.
E’ tornato alla casa del Padre Stefano Deledda di Perfugas, coniuge di Francesca Bussu di Chiaramonti un caro e generoso amico.La dichiarazione fatta ad Anghela Nigoleddu dal brigadiere Carrigni non scivolarono invano sull’anima giovanile della ragazza che un pò agitata sentì il bisogno di confidarsi con la sorella già promessa sposa ad un Balchi.
Una volta a letto, spenta la stearica, Anghela si rivolse alla sorella dicendolele:
-E tu che cosa gli hai risposto?-
-Se son rose fioriranno.-
-Brava è la stessa risposta che io ho detto a Giovanni, quando mi ha detto per la strada che avrebbe voluto sposarmi.-
-E se lo incontro ancora che cos’altro debbo rispondergli?-
-Calma Anghela, dovresti parlarne con mamma e poi da cosa nasce cosa. Intanto per ora il brigadiere ha altro a cui pensare dal momento che hanno ammazzato anche l’archeologo Malta.-
-A dirti ala verità quel brigadiere mi piace ed è la terza volta che lo colgo guardandomi con una certa passione.
-Non vedi che è preso da te, per cui lascia scaldare il ferro finché è rovente.-
Ciò detto le due sorelle stettero insilenzio e si addormentarono.
In caserma i militi considerar
La notte fu turbata dal maltempo e gli stessi militi erano turbati per questo secondo delitto tanto simile al primo..
Due morti ammazzati in poco tempo e li attendeva un lavoro d’indagine abbastanza intenso.
Chi poteva con le stesse modalità uccidere due uomini onesti e pacifici? E chi poteva essere così geloso delle Domus de Janas da eliminare uno dopo l’latro gli archeologi. Anche i militi sussurravano tra loro che non c’era due senza tre. e che comunque dovevano scoprire l’assassino prima che ci scappasse il terzo delitto come era avvenuto anni fa. Di sicuro se non avessero scoperto l’assassino i superiori avrebbero mandato qualche specialista di serie killer.
Bisognava farsi un giro nei centri dell’Anglona, sentire almeno i sindaci, per sapere che cosa ne pensassero.
Andavano ascoltati anche i pastori di Sassu Altu perché il delitto era avvenuto come il primo nella loro località.
Come ormai di consuetò sul posto c’era anche Andria Galanu la cui filosofia lo scagiona sempre. Inoltre pare che la scoperta del cadavere fosse opera di Martino Pedde a addirittura nei suoi terreni di su Murrone dove le Domus de janas erano particolarmente basse ed entrarvi era piuttosto impegnativo.
Il brigadiere Carrigni, colpito al cuore dalla bella mora Anghela Nigoleddu, tendeva a non pensare troppo a scoprire il killer anche se di tanto in tanto si macerava il cervello su quale personaggio facesse di tutto per dare lavoro ai militi di Miramonti.
Preparò una missiva alle varie stazioni della regione storico culturale anglonese perché in giorni precisi convocassero i consigli comunali e il sijndaco per sentire il loro parere su questo delitto sardo, ma raffinato e quale dia solo naso tondesse il marchio dalla protome taurina.
I superiori da Sassari con una missiva convocarono il brigadiere Carrigni per fare un’esposizione dettagliata dei fatti che come quello di sette otto anni prima avevano turbato i centri dell’Anglona.
Giustamente pensava tra sé e sé che prima delle assemblee comunali anglonesi i superiori dovevano attendere.
A Miramonti l’angoscia quasi pwersonificata entrava nelle case delle vie e dei vicoli. La maggior parte della gente se la prese con gli archeologos de Susu. Questa storia degli studi dell’antichità non garbava a nessuno se poi tutto doveva concludersi con morti ammazzati rendendo oltremodo insicure le campagne.
Questo non pensavano i diavoli che nella notte sibilavano c on un vento impetuoso tanto c he la gente non faceva che dire:-Si sun pesados sos dimonios-si son levati i diavoli!-
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ll ritorno alla casa del Padre di Michelina Manca ved.Franchini.
Fulvio De Giorgi
Dopo la morte di papa Bergoglio, il 21 aprile, si è sviluppato un “assordante chiacchiericcio” degli ambienti anti-Francesco, tra giornali (e dibattiti televisivi), social e siti Internet, tendenti a sostenere tre tesi: primo, la Chiesa è divisa; secondo, la linea magisteriale del papa defunto era sbagliata, ha reso insignificante il cattolicesimo nell’arena pubblica e sta portando la Chiesa cattolica allo sbaraglio; terzo, il sentimento “tradizionalista”, freddo se non ostile verso Bergoglio, è popolare e maggioritario tra i fedeli.
Oltre a ribadire – nell’occasione “mediatica” della morte del pontefice – temi e motivi da tempo già manifestati (e che vanno dalla «opzione Benedetto» al «codice Ratzinger» alle varie sfumature di tradizionalismo e di cyberbullismo anti-evangelico, allucinato e catastrofista, limitrofo all’irrazionalismo no-vax, terrapiattista, suprematista-bianco), questa riproposizione compatta di un fronte anti-Francesco mira, evidentemente, a condizionare il conclave per spingerlo non tanto verso un’impossibile scelta anti-Francesco, quanto verso la designazione di un papa “di mediazione”, che rallenti e possibilmente blocchi i processi di rinnovamento avviati da Francesco: una sorta di fake Francis.
Il successore determinerà l’importanza storica di Francesco
Questo avvilente chiacchiericcio si è dunque sviluppato, già dal 22 aprile, e indirettamente segnala un aspetto significativo: l’importanza storica del papato di Francesco sarà fortemente segnata dalle scelte del suo successore. Mi spiego: se dopo le aperture di papa Roncalli, il Conclave avesse eletto il card. Siri o, comunque, un Pio XIII, tutto – anche il Concilio appena avviato – sarebbe stato rapidamente chiuso e il pontificato di papa Giovanni XXIII sarebbe stato a malapena ricordato come un tentativo fallito. L’importanza grandissima, invece, che tutti gli storici riconoscono a quel pontificato, dipende, dunque, dall’elezione di papa Montini, che portò a compimento il Concilio e avviò la grande riforma della Chiesa cattolica: certo, con il suo stile (diverso da quello roncalliano e, forse, non da tutti compreso), ma indubbiamente in continuità profonda tra Giovanni XXIII e Paolo VI. Ed è quello che serve anche oggi.
In ogni caso, dopo pochi giorni dallo scatenarsi multiforme di questo fronte, le sue tre tesi sono state smentite dai funerali di papa Francesco: primo, l’omelia vibrante del card. Re (non certo un “progressista”: un cardinale novantenne, nominato da Giovanni Paolo II) ha reso trasparente il sentimento di gran lunga prevalente, senza veri dissensi, nella gerarchia cattolica e le linee di continuità che il nuovo papa porterà certamente avanti; secondo, la corale presenza dei Potenti della terra, anche non cattolici, anche ostili al magistero bergogliano, indica il rispetto di cui godeva l’autorità morale di papa Francesco e l’importanza, ancora significativa, della Chiesa cattolica nei diversi paesi del mondo, inoltre lo stesso discorso del presidente Mattarella, il giorno precedente, per la festa della Liberazione italiana (con la citazione-chiave di papa Francesco), aveva mostrato la vitalità e la significatività dell’insegnamento sociale bergogliano sul piano di una sua possibile valorizzazione etico-civile in senso alto; terzo, la grande partecipazione di popolo – insieme commossa e cristianamente gioiosa (in persona a Roma; in chi ha seguito il funerale in mondovisione; ma soprattutto nelle preghiere delle parrocchie cattoliche dovunque) – ha fatto vedere come il papa defunto era entrato nel cuore dei fedeli, delle persone semplici, soprattutto di quegli “ultimi” che, con la rosa bianca, hanno accolto il feretro del papa a Santa Maria Maggiore. È emerso un affetto popolare forte e diffuso, che ha suscitato “nostalgie di Vangelo” anche fuori della comunità ecclesiale: un affetto semplice, non organizzato da movimenti particolari, un affetto non esaltato ma grato e commosso, come forse non si vedeva dai tempi di papa Giovanni.
A s’ipissa mama mi mandaiat a comporare su tucaru in piatta dae tia Maddalena.
Pro andare in piatta devio passare innanti a su palatu de su dutoreddu in ue abitaiat pure su frade chi fit calonigu. Meda boltas custu monsignore l’incontraio pighende dae cheija. Cando m’abboiait, mi frimmait e mi narriate:
E custu fit su primu incontru.
S’àteru l’agataio in carrela de s’avvocadu, inue Carolu, Giuanninu e Antonicu giogaiant sempre a bagliaroculos. Deo mi firmmaio a los abbaidare poi mi naraint a ndasa de bagliaroculos e deo aio sempre sas busciacas pienas.
E gai incominzaio su giogu, ma gioga chi ti gioga, su giogu non finiat mai e che passaiat s’ora immintighendemi de su cumandu.-
Una die aio bagliaroculos a furriadura e incominzo a giogare e a binchere. Fio cuntentu meda. Non faddio unu tiru. A unu zertu puntu propriu cando fio pesende su enuju pro poggiare sa manu e tirare cun su poddighe e s’indighe su bagliaroculu, m’arrivat custu ciaffu in cara e che fino rutu in terra. Mi giro pro abbaidare e chie ido? Mama ch’incominzat a mi brigare.
-T’apo mandadu a mi fagher tre cumandos: unu dae tia Maddalena, s’ateru dae Tarsilla e su terzu dae ti’ Antoni Pira in Municipiu e tue ti ses postu a giogare a bagliaroculos?
Narami como ite devo faghere. Ogni bolta est gai? Ohi istasera cando recuet babbu tou dae campagna, ti fato mazare comente mai! Ses perri conchinu, torra a domo chi poi faghimus sos contos-
Sos cumpanzos si ch’intraian’in domi issoro e bessit ti Ciccia. Ite b’at coma’-
-Comare mia non nde poto pius de custu fizu gai malu, no lu poto mandare a unu cumandu chi s’incontrat cumpagnia si ponet a giogare e s’immantigat de totu.-
-Comare mia, no lu naredas a mie. S’atera die mando a Tore a leare fae dae tia Pedrutza Saba e non torraiat pius, so essida a lu chircare a l’ischides in ue l’apo agatadu?
In carrela de caserma giochende a imbrestia cun d’uni fiottu de cumpanzos. E sa fae già l’aiat comporada, ma comente l’a posta in terra pro giogare, b’est arrividu s’ainu de tie Peppe Birraldu e a pagu pagu si che l’at mandiga. L’apo mazadu che basolu a su Mulinu de su bentu. Tres dies est istadu in su letu mimulende
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Migali, custu manzanu, si nde fit pesadu chito e s’aiat alluminzadu su fogu, in sa fogulaja manna in mesu sa pinneta.
Fimus in finitia de ierru, ma in sos manzaniles lìmpios, s’intendiat ancora sa friscura de sa ‘iddia, massimatottu in sas costeras a pala umbrina, ue su sole de su mese de martu non resessiat a b’intrare bene, pro nd’asciuttare s’umididade de sa notte.
Sa pinneta de Migali fit in un’aparinadedda, inghiriada de àrvures de suerzu e de èlighes, a pagu drettu dae su riu chi falaiat in mesania de s’’adde.
A la bider dae tesu, cun sos muros nieddos, fattos de contones de trachite e covaccada a bortiju, pariat unu zigarru, de cuddos chi sos betzos fumaian a fogu in intro de bucca, ca donzi tantu, bessiat un’appuppada de fumu, isparghendesi in s’aera netta de su manzanu, simizante a su fumu bessende dae sas laras isganzadas de su fumadore.
Migali istaiat in custa pinneta dae sende piseddu e contivizaiat unu fiottu de arveghes pro contu de Antiogu. Fit un’òmine chi aiat connotu paga fortuna, e chi teniat solu sentidos de bonidade, chena malidade peruna.
Fit crèschidu, comente si narat, in s’aficu de caras anzenas, chentza connòschere una famìlia sua, e nemmancu parentadu chi l’esseret mustradu bonu chèrrere.
Cando lu preguntaian, naraiat de èssere parente de zente meda, ma lu faghiat ca de parentes no nd’aiat mai connotu.
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Chiarissimo Rettore, carissimo prof. Brizzi, prof. Tedde e caro Vulpes,
Ho partecipato, seppure da lontano, alla faticosa redazione del volume I laureati dell’università di Sassari (1754 – 1764) di Gianni Vulpes, con introduzione del Prof. Giuseppe Doneddu e postfazione del Prof. Gian Paolo Brizzi. Faticosa per la mole di informazioni che contiene e per la lunga gestazione archivistica, non certo per l’entusiasmo e la determinazione del suo autore. Non potendo essere presente vorrei però spendere due parole come docente di storia dell’educazione per rimarcarne la notevole importanza del presente lavoro per la storia della nostre Università.
Siamo di fronte, come diranno altri meglio di me, alla scoperta di un documento unico e per certi versi fortunoso come il ritrovamento nell’archivio storico comunale di Sassari, da parte dell’autore, di un registro contenente le “feès de la aprobacione de grados”. L’eccezionalità del rinvenimento deriva dal fatto che siamo di fronte ad un unicum soprattutto per la datazione precedente alla riforma dell’ateneo da parte di Bogino.
Il testo ci mostra uno spaccato della società sarda del XVIII secolo, in particolare della sua componente intellettualmente più vivace. Dobbiamo alla perizia di Vulpes la preziosa ricostruzione della vita di ogni neo-dottore in relazione alle reti parentali, alle provenienze geografiche alle diverse condizioni sociali. L’autore, credo imbattibile in questo, ha svolto un minuziosissimo lavoro genealogico, basato su uno scrupoloso scandaglio di fonti archivistiche e bibliografiche.
Mi capita più volte di spiegare ai miei studenti l’origine peculiare della nostra università gestita dai Gesuiti e spingermi al confronto comparativo con altre università, a raccontare cioè una storia che si può vedere per immagini rappresentata nell’aula magna dove viene presentato il testo. Quello che non dicevo, ma che d’ora in avanti dovremo aggiungere, è che ben prima della riforma sabauda il nostro ateneo era un polo formativo di tutto rilievo specie se comparato alle università di media dimensione come Fano, Ferrara, Macerata, Modena, Fermo.
Nel rammaricarmi della difficoltà di conciliare il calendario dei miei impegni con la presentazione del testo ringrazio i presenti e gli stimati colleghi e offro la mia disponibilità a rivedere, com’è giusto che sia, la mia prospettiva storiografica alla luce di questo importante aggiornamento degli studi.
Casirate d’Adda, 19 giugno 2025
Fabio Pruneri Professore ordinario di Storia dell’Educazione Università degli studi di Sassari
La penultimsultima visita l’Università dopo il pensionamento del febbraio del 2002 è stata il 19 aprile del 2019 allorquando si tenne un convegno sulla Beata Nicoli.
L’utima è stata alcuni giorni fa per la presentazione del saggio di Gianni Vulpes sugli studenti ritrovati del 1754-64. A presentare questa preziosa ricerca erano presenti il Rettore Gavino Mariotti,il prof. emerito bolognese, già professore per undici nell’ateneo Turritano, Gian Paolo Brizzi, promotore a suo tempo del CISUI Centro Itnterdisciolinare della Storia delle università italiane, che a Sassari fu detta CISUS. Il professore tanti anni fa riuscì a far consorziare ben 35 università italiane con la pubblicazione della rivista dal titolo Storia degli annali del’Università italiana. Credo che ili. CISUI, ancora operante, abbia concorso egregiamente alla conoscenza della storia delle università italiane.

Prof. Gian Paolo Brizzi
Davanti ad un’aula magna quasi completa, duecento posti a sedere, ha preso la parola il rettore Gavino Mariotto, successivamente Gian Paolo Brizzi, quindi l0autore del saggio Gianni Vulpes e poi al mio posto, data l’ipovedenza ha letto il mio intervento mia figlia Emma Linda, professoressa di Lettere nelle scuole secondarie di Olbia.
Tra i presenti docenti universitari, studiosi e gente comune amici e fans di Gianni Vulpes.
Al termine della serata , non più di due ore, hanno preso la parola il sindaco di Ittir e quello di Uri estimatori dell0autore del libro.
I libri venduti non hanno soddisfatto le richieste, ma questo si potrà ottenere rivolgendosi all’autore Gianni Vulpes o alla casa editrice di Sassari in via Caniga 19.
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